Qualche tempo fa, in uno dei programmi di attualità più visti, mandarono in onda un filmato in cui si vedeva una ragazza, complice della trasmissione, che improvvisamente si sdraiava a terra, in una strada piena di persone. Nessuno dei passanti sembrava notarla e, comunque nessuno la soccorreva. Tanto è stato lo scalpore suscitato da quel servizio, come era possibile che l’uomo, di fronte ad evidente difficoltà si comportasse in quel modo? Questa modalità comportamentale è stata studiata già negli anni 70 da due psicologi sociali: Darley e Latané che parlarono per la prima volta di Apatia degli astanti.
Siamo nel 1963, a New York quando una donna, Kitty Genovese, tornando a casa dal lavoro, venne assalita nel breve percorso tra la sua automobile e l’edificio in cui viveva, nel quartiere di Queens.
Erano le prime ore del mattino quando il suo aggressore la pugnalò, ma fuggì quando le grida della donna provocarono una reazione da parte dei vicini. Alcuni accesero le luci di casa e sembra che qualcuno abbia gridato da una finestra, ma questo fu tutto o quasi e quando tornò la calma l’assalitore riprese la sua aggressione. Di nuovo la vittima implorò aiuto e di nuovo il suo aggressore scappò. L’aiuto però non arrivò e l’aggressore ritornò e questa volta uccise la donna.
La domanda che sorge spontanea è perché i vicini non aiutarono Kitty Genovese? Quasi 40 di loro si erano resi conto della gravità dell’aggressione che era durata più di mezz’ora, ma nessuno di loro chiamò la polizia o andò ad aiutare la donna.
Darley e Latané si occuparono dell’evento, e per farlo, si sono rifatti a due concetti strettamente correlati tra di loro: l’ignoranza collettiva e la diffusione di responsabilità. Il primo si basa sull’idea che le persone presumano che vada tutto bene solo perché altre persone presenti non dimostrano di percepire alcunché di strano; il secondo concetto invece parla di una diminuzione del senso di responsabilità avvertito da ciascun individuo quando sono presenti altri potenziali soccorritori.
È da queste premesse, quindi, che è più probabile che si verifichi quello che è denominato Apatia degli astanti ossia la presenza di altri può rendere meno probabile che qualcuno prenda l’iniziativa di fare qualcosa, perché ogni persona si affida alle altre presenti nella situazione per farsi guidare sul tipo di comportamento da tenere.
A sostegno della teoria sull’ignoranza collettiva, Latané e Dabbs, osservarono che in una situazione in cui una persona lasciava cadere “accidentalmente” qualcosa sul pavimento dell’ascensore in presenza di altri cinque o sei passeggeri, questi si guardavano attorno, ma era meno probabile che offrissero il loro aiuto rispetto alla situazione in cui c’era solo un altro passeggero.
Analogamente, quando alcune persone impegnate a compilare un questionario sentirono una ricercatrice chiedere aiuto per un incidente che le era accaduto, si offrirono di aiutarla il 70% delle volte se erano da sole, ma solo il 40% delle volte se erano in compagnia di un altro partecipante (Latané e Rodin,1969).
In ognuno di questi casi coloro che erano in compagnia fecero riferimento agli altri su come interpretare la situazione e di conseguenza furono meno pronti a prestare aiuto, perché anche gli altri partecipanti fecero riferimento a loro per ottenere indicazione su come comportarsi.
Darley e Latané valutarono dunque che se l’ambiguità di una situazione influenza in questo senso il comportamento d’aiuto, allora in una situazione in cui gli altri rappresentano una chiara guida all’azione, le probabilità di prestare il proprio aiuto dovrebbero essere maggiori. Questa tesi è stata suffragata da una serie di studi nei quali, ad esempio, si è riscontrato che si tende più facilmente ad aiutare un automobilista in panne se abbiamo appena visto un’altra persona fermarsi per aiutarlo e si tende maggiormente a donare sangue se vediamo un’altra persona offrirsi volontaria per farlo.
Se invece ci concentriamo sul concetto della diffusione di responsabilità Darley e Latané scoprirono che una persona tende maggiormente a prestare il suo aiuto se crede di essere l’unica che lo possa fare, mentre quando veniva fatto credere che vi erano più di due partecipanti e quindi altre persone che udivano la richiesta di aiuto, la probabilità che tale aiuto venisse offerto diminuiva. Una delle possibili spiegazioni sta nel fatto che le persone, nel secondo caso, si sentissero personalmente meno responsabili perché tale responsabilità era condivisa da altri e pertanto diffusa.
Talvolta il comportamento umano lascia perplessi, talvolta è difficile dare una spiegazione a ciò che, razionalmente, crediamo impensabile,ma l’uomo è un essere molto complesso e per questo dobbiamo essere pronti per gestire sfaccettature anche molto diverse.
Cosa potremmo dunque fare se fossimo noi quelli a chiedere aiuto?
Innanzitutto rivolgetevi ad una persona ben precisa, in questo modo la responsabilizzerete poi cercate di rendere quella situazione il meno ambigua possibile, cercando di spiegare cosa è successo e di cosa avete bisogno.
Bibliografia:
Latané, B. e Dabbs,J. M.(1975). Sex, group size and helping in three cities. Sociometry, 38, pp.180-194
Latané, B. e Darley J. M.(1970). The Unresponsive Bystander: Why doesn’t he Help? Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall.
Latané, B. e Rodin, J. (1969). A lady in distress: Inhibiting effects of friends and strangers on bystander intervention. Journal of Experimental Social Psychology, 5, pp.189-202.
Moghaddam, F. M.(2002). Psicologia Sociale